Quando ho sentito dell’ennesimo caso di omicidio-suicidio familiare (stavolta un irreprensibile finanziere di 48 anni, che ha fatto secchi moglie e figlio prima di spararsi), mi e’ balzata alla mente l’immagine della sepoltura del cosiddetto “Signore di Sipan”, un nobilotto o reuccio Moche sepolto con un impressionante corredo funebre, che comprendeva tra le altre cose anche un certo numero di (sospetto) riluttanti accompagnatori umani.
Si, si, lo so: il tizio era gravemente malato, gli avra’ dato di volta il cervello, la pressione psicologica e blablabla.
Un par di palle.
Una grave malattia, la vicinanza della morte, ma anche gravi rovesci finanziari e tragedie assortite non possono cambiare completamente la natura di un essere umano, non possono stravolgerla al punto da sostituire all’amorevole padre e marito un perfetto estraneo che ammazza una donna e un ragazzino come se si trattasse di due conigli. Il seme deve essere gia’ presente.
E nella testa di tutti questi uomini – quasi sempre uomini – che azzerano le proprie famiglie quando a loro e’ capitato o sta per capitare qualcosa di tragico deve esserci un piccolo Signore di Sipan acquattato, pronto a svegliarsi al momento opportuno e a pretendere il proprio corredo funebre fatto di sangue.
Mah, questa storia la dice lunga su tre cose:
1) Su come sia la famiglia il luogo di maggior disagio nella società
2) Su come sia difficile ammettere a sé stessi, specie se si è uomini ed educati perniciosamente ad essere sempre quelli forti, a “non dover chiedere mai”, di avere un problema.
3) Su come il signore in questione, come mille e mille altri italiani, avranno considerato disagio, depressione e solitudine come capricci o ubbie, a fronte anche di spese molto forti per curarsi seriamente….
Nonostante l’ argomento tetro, buone feste!!! :*
D’accordo su tutti e tre i punti. Circa l’ultimo, aggiungerei che probabilmente gioca anche la “vergogna” di dover chiedere un aiuto psicologico. Mi sembra che questa cosa sia ancora molto presente: nessuno si vergogna di dover andare dall’ortopedico, ma su tutto cio’ che riguarda la salute psichica grava ancora una specie di tabu’ sociale.
Ma la questione che ho sollevato secondo me va ancora piu’ in la’. Si tratta soprattutto – a mio avviso – del fatto di vedere i propri familiari non come individui indipendenti ma come prolungamenti di se’, proprieta’, oggetti. Forse c’e’ anche una componente di invidia per chi resta in vita, e questo e’ molto brutto: significa che nei rapporti familiari – dove dovrebbe farla da padrone l’amore, l’altruismo – hanno piu’ peso i sentimenti negativi. Una persona che ama davvero il coniuge e i figli vuole che loro vivano, e che vivano il piu’ felicemente e il piu’ a lungo possibile, in ogni caso e anche a costo della propria vita. Qui accade l’esatto contrario: “Poiche’ io muoio, dovete morire anche voi”. Terribile.
Comunque, buone feste anche a voi. ^_^
Tempo fa su questi “exploit di violenza” familiare (ma non soltanto) ci avevo scritto un post (http://aramcheck.splinder.com/post/12110826). Tutt’ora vorrei capire se esistono delle statistiche criminologiche su questo tipo di delitti.
In sostanza, si tratta di lati oscuri ancestrali della psiche umana (pessimismo cosmico) o sono in crescita come effetto collaterale della contemporaneità (pessimismo storico)?
Aramcheck, piacere di risentirti e scusami per il ritardo nel rispondere, ma come è intuibile di recente sto un po’ lontana dal blog…
Ho letto il tuo post e l’ho trovato molto interessante. Purtroppo non conosco statistiche del genere di cui parli, e che servirebbero eccome per poterci capire qualcosa di più. L’unica cosa che mi viene in mente è che anche i giornali e giornaletti degli anni ’50 e ’60 erano pieni di casi di cronaca nera di questo genere, quindi probabilmente la variazione, se c’è stata, non deve essere molto significativa.
Credo che tu abbia ragione quando parli di pressioni sociali – e questo spiegherebbe in effetti la differenza di “target” medio al di qua e al di là dell’Atlantico (anche se gli USA sembrano abbonati alle stragi di massa, mentre noi ci si accontenta delle stragi di micro-massa familiari). Mi viene anche da pensare che nelle stragi tipo Columbine ci sia una forte componente – più o meno conscia – di protesta sociale, che non vedo nell’ammazzare moglie e figli. Però una cosa in comune c’è, e qui torno al tema del mio post: il voler andare all’altro mondo trascinandosi dietro quanta più gente possibile. Uno che va in una scuola USA per fare una strage lo sa bene che non ha praticamente alcuna speranza di sopravvivere, quindi la cosa è assimilabile a un suicidio, un suicidio in cui si fa in modo di non essere soli, di portarsi dietro i propri nemici, o magari anche i propri amici o qualche perfetto sconosciuto.
Non so, a me tutto questo fa pensare, più che a considerazioni sociologiche, ad un ben noto stato d’animo umano: l’invidia. Invidia per chi resta, invidia per chi ha avuto successo, invidia per chi non è stato stritolato dalla vita e cose così. “Se non posso averla io, non potrà averla nessuno”, pensa l’innamorato respinto prima di uccidere la malcapitata. L’impiegato licenziato dalla grande azienda torna nel suo ex posto di lavoro e fa fuori un po’ degli ex colleghi, quelli che non erano stati silurati come lui. Il padre di famiglia malato terminale si porta dietro l’intera famiglia.
Tutti questi casi fanno intravedere una forma mentis spaventosa: l’altro, il prossimo non e’ mai considerato un essere umano, dotato di pari dignità e portatore del fondamentale diritto di vivere, e di vivere come più gli/le piace: è solo un figurante, una sagoma di cartone sullo sfondo della mia vita, un personaggio che deve recitare la sua parte e se non la recita come pare a me lo cancello; e se per caso devo smettere di recitare io che sono il personaggio principale, vorrai mica che la commedia continui senza di me, eh?
E si, hai ragione nel dire che questi casi sono solo la punta dell’iceberg, e che ciò che preoccupa davvero è quello che succede nei cuori e nelle menti del resto della popolazione. Beh, credo che questo solipsistico modo di vedere se stessi e gli altri sia diffusissimo (non mi metto qui a cercarne le cause, peraltro abbastanza evidenti) e che possa benissimo interagire negativamente con le pressioni sociali di cui parlavi, portando agli esiti tragici che vediamo ogni tanto. Non è una conclusione consolatoria, ma quelle le lascio alle religioni organizzate.