Volevo spendere un post – che di questi tempi me ne avanzano parecchi inutilizzati – per segnalare la manifestazione in programma per sabato 19 settembre a Roma, Liberi di non credere, organizzata dalla UAAR.
In un paese come il nostro,
«dove i non credenti sono i paria della società, relegati dalla legge (e dal condizionamento sociale) a cittadini di quinta categoria: l’incredulità viene buona ultima, quanto a diritti, dopo la Chiesa cattolica, le confessioni sottoscrittrici di Intesa, i culti ammessi e le confessioni non registrate. Un paese dove si può essere censurati se si tenta di scrivere che Dio non esiste. Un paese dove, in televisione, è impossibile ascoltare una critica alle gerarchie ecclesiastiche»
manifestazioni del genere sono una boccata d’ossigeno. Di sicuro se fossi dalle parti di Roma ci andrei.
Poi, ascoltando la solita radiopopolare, ho scoperto (ok, l’ho detto che ultimamente leggo poco, eh?) che il 19 a Roma di manifestazione avrebbe dovuto essercene un’altra, anche questa a tutela di una libertà. Era infatti prevista una manifestazione nazionale in difesa della libertà di stampa, e a giudicare dal numero e dalla qualità di adesioni sarebbe risultata massiccia.
E poi cosa è successo? È successo che un paio di blindati italiani sono saltati in aria a Kabul, durante un attentato, uno dei tanti. Sei morti tra i militari italiani, un tot di altri morti e un fottio di feriti tra i civili – ma questi sono meno importanti – e tutta la classe politica italiana che si sgola ad esprimere il proprio cordoglio (ma in pochissimi a dire “torniamocene a casa”, e tra questi non c’è il PD). Capita, se fai parte della forza di occupazione in un paese che non ti vuole e che fa di tutto per ricacciarti via. È una cosa che ci si può aspettare, no?
E che fa la FNSI, a due giorni dalla manifestazione, quando tutto è stato organizzato e si profila un successone? La annulla. Perchè? Il comunicato della FNSI è un capolavoro di giornalismo peloso, pare scritto da Vespa:
Decisione presa, informa la Fnsi, “con profondo rispetto verso i caduti, nell’espressione di un’autentica, permanente volontà di pace quale condizione indispensabile di una informazione libera e plurale capace di rappresentare degnamente i valori della convivenza civile”. “In un momento tragico come questo – si legge in una nota dei promotori della manifestazione- ci stringiamo attoniti accanto ai nostri morti in Afghanistan. Sono morti dell’Italia che paga oggi un pesante tributo nella frontiera della sicurezza internazionale e della lotta al terrorismo. Il nostro rispettoso pensiero va subito ai soldati caduti, alle loro famiglie, alle forze armate che, in un Paese martoriato, rappresentano la nostra comunità in ossequio a risoluzioni dell’Onu, in una complicata ricerca di una via di uscita dell’Afghanistan dal terrore verso la democrazia. I giornalisti, che hanno pagato alti prezzi di sangue per il diritto- dovere di informare compiutamente i cittadini su dolorose vicende belliche e del terrorismo in ogni parte del mondo, rinnovando la solidarietà e il cordoglio nei confronti di tutti i caduti e delle loro famiglie, riconfermano l’impegno permanente per un’ informazione che dia sempre voce alle ansie, alle speranze, alle idee di tutti.”
Ora, io mi chiedo, che diavolo c’entra una manifestazione per la libertà di stampa con un attentato a Kabul? In che modo il suo svolgimento contrasterebbe con la dichiarata volontà di sostenere “un’autentica, permanente volontà di pace quale condizione indispensabile di una informazione libera e plurale”? Non sarebbe logica, piuttosto, la reazione contraria? Andare tutti in piazza a sostenere la libertà di stampa anche contro chi vorrebbe metterle il bavaglio con la violenza? E quei “giornalisti, che hanno pagato alti prezzi di sangue per il diritto- dovere di informare compiutamente i cittadini su dolorose vicende belliche e del terrorismo in ogni parte del mondo”, non dovrebbero forse essere contenti di andare a manifestare in piazza anche per quanto appena avvenuto, se davvero credono in quello che dichiarano? Dove sta la logica, nell’imbavagliarsi da soli quando si dovrebbe protestare contro i bavagli imposti?
L’impressione è che sia stata colta al volo l’occasione per annullare una manifestazione che avrebbe dato dispiaceri a molti, in alto loco. Questo significa che tra gli stessi giornalisti italiani la volontà di difendere la propria libertà – e, assieme, la libertà dei cittadini di essere informati davvero – è ormai ridotta al lumicino.
La cosa più divertente – più triste, in realtà – è che invece il campionato di calcio non si ferma affatto. Un minuto di silenzio prima delle partite, il lutto al braccio e buonanotte. Non avrebbero potuto pensare a qualcosa del genere anche per la manifestazione di Roma? No, eh? Meglio annullarla. Forse perchè a un pò di gente avrebbe rovinato la digestione il fatto di manifestare per la libertà di stampa – e di parola e di pensiero, che alla fine è sempre la stessa zuppa, che si tratti di informazione o di credo religioso – con alle spalle sei morti di una guerra non dichiarata e in cui il ruolo dell’Italia e’ chiarissimo, ma non si può dire, non lo si può chiamare con il proprio nome, va chiamata “missione di pace” e guai a chi devia dalla linea.
Ora spero solo che alla UAAR non si facciano intimidire e non decidano una mossa analoga. Che almeno un lumicino di speranza rimanga, in questo cristianissimo paese dimenticato da Dio.